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CORRIERE DELLA SERA

 Come trasformare ruderi di cemento in una occasione di qualità.

di Giuseppe Pullara

I gabbiani li usano come postazione fissa per puntare i pesci del fiume. Durante le piene raccolgono inutilmente quintali di detriti di ogni genere. I tre piloni in cemento armato piazzati da una cinquantina d’anni nel Tevere poco più a monte di Ponte Flaminio sono soprattutto scomode testimonianze della tradizionale inefficienza della civica amministrazione. Centinaia di tonnellate di calcestruzzo in mezzo al biondo Tevere: per qualche anno i pilastri sono serviti a reggere una struttura provvisoria -un “Ponte Bailey”- per rimpiazzare il monumentale Ponte Flaminio dell architetto Armando Brasini, chiuso al traffico all’inizio degli anni Sessanta a causa di un cedimento strutturale avvenuto una dozzina d’anni dopo la sua ultimazione. Restaurato l’enfatico ponte tutto marmo, aquile imperiali e gigantesche lanterne, il manufatto mobile fu smontato. Il suo basamento è rimasto lì,  dov’era,  fino ad oggi. Dimenticati ed ingombranti, i tre piloni sembrano uccelli di malaugurio, quasi siano pronti a sostenere un nuovo passaggio temporaneo dovuto a un nuovo blocco del ponte «fascista».

Che si aspetta ad abbatterli? Ma anche: cosa si può fare per utilizzarli?  Tre anni fa un giovane architetto romano ha lanciato un’idea: il comune potrebbe autorizzare un privato a rendere redditizio li primo pilone presso la riva di Tor di Quinto in cambio dell’eliminazione degli altri due. Francesco Napolitano, titolare dello Studio LAD, ha presentato le immagini progettuali nei giorni scorsi all’ Istituto nazionale di Architettura: mentre il fiume torna al suo equilibrio, sul pilone rimasto viene «appoggiata» una piattaforma che partendo dalla riva si sporge sull’ acqua. Su di essa prende posto un bar ristorante mentre metà dello spazio rimane pubblico.Il paio di milioni necessari, secondo l’architetto, per realizzare ilprogetto sarebbero recuperati in breve tempo da chi volesse affrontare l’impresa. Nel novembre 2011 la proposta di Napolitano ha ottenuto un premio dalla Provincia ed è stata pubblicata da riviste di settore (Domus Web, Edilizia e territorio, ecc.). Ma da allora, tanto apprezzabile e semplice era l’idea che non è successo assolutamente niente.

Per la verità, pochi giorni dopo che fu reso pubblico il progetto dal Campidoglio — improvvisamente «risvegliato» da un lungo sonno -è partito un bando per un project financing col fine di utilizzare il ponte mummia.
Lo stesso sindaco Alemanno invitò i privati a costruire su di essi una struttura multifunzioni per il tempo libero anche in vista di un Olimpiade romana 2020.Costo dell’operazione, parcheggio annesso per 500 auto: 35 milioni. Nessuno si è fatto avanti.
Per smuovere le acque, l’architetto Napolitano ha presentato da tempo al Comune una richiesta di concessione per lo sfruttamento del pilone Tor di Quinto previo l’abbattimento degli altri due. Niente di niente. Nessuna risposta.
Cosa impedisce che l’amministrazione affronti con realismo la situazione? Quali interessi impongono che tutto resti com’è da mezzo secolo?
L’idea di realizzare affacci sul Tevere dotati di servizi è tuttavia ben conosciuta: una «terrazza» doveva sorgere davanti all’Ara Pacis mentre di altri «balconi» si è parlato per diversi altri punti lungo i muraglioni che guidano il fiume, se non altro per avvicinarlo ai cittadini. Viene da pensare che l’inerzia che ispira gli uffici comunali sia rimasta sconcertata davanti ad una proposta che implica poca spesa, veloci tempi di realizzazione e un risultato di sicuro successo. Oppure si tratta di un caso di prevenzione: appena si rompe ponte Flaminio o ponte Milvio, ecco pronti i vecchi piloni di cemento per una passerella d’emergenza. Questo si che sì chiama pensare al futuro.

 

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